
Nel panorama del diritto tributario applicabile agli enti del Terzo Settore, la tassazione si costruisce su una distinzione fondamentale: quella tra enti commerciali ed enti non commerciali. Questa classificazione non ha solo un valore formale, ma incide in modo diretto e sostanziale sulla modalità di determinazione del reddito imponibile e, quindi, sul carico fiscale effettivo.
Per gli enti commerciali, la logica fiscale adottata è quella della unitarietà del reddito. Qualunque sia la fonte delle entrate anche se, in altri contesti, considerate non commerciali (es. donazioni, raccolte fondi, erogazioni liberali, quote associative) esse vengono attratte nella categoria del reddito d’impresa secondo quanto previsto dall’art. 6 del TUIR. Ciò significa che l’intera ricchezza prodotta nell’anno, indipendentemente dalla sua natura, è assoggettata a tassazione ordinaria, con l’applicazione delle regole proprie dell’impresa. In questa prospettiva, un ETS commerciale è trattato fiscalmente come un qualunque altro soggetto economico operante nel mercato.
Diversa è invece la logica che regola la tassazione degli enti non commerciali, dove il reddito imponibile (ovvero quella parte di ricchezza che mi funge da base per l’applicazione dell’aliquota) non è determinato in modo unitario, ma si compone della somma di specifiche categorie reddituali, in analogia con il trattamento riservato alle persone fisiche (art. 143 TUIR). Solo alcune tipologie di redditi concorrono alla formazione della base imponibile:
- Redditi fondiari, derivanti da immobili, calcolati sulla base della rendita catastale;
- Redditi di capitale, frutto della gestione di risorse finanziarie, senza attività imprenditoriale;
- Redditi d’impresa, se l’ente svolge anche attività economiche dietro corrispettivo;
- Redditi diversi, ossia entrate occasionali non riconducibili ad altre categorie.
Tutte le altre forme di entrata, come contributi, liberalità, raccolte fondi, erogazioni, quote associative non sono soggette a tassazione, poiché non rientrano in nessuna delle categorie tassabili previste dal TUIR. È questo uno degli elementi distintivi e qualificanti del regime fiscale degli ETS non commerciali: solo la ricchezza ritenuta fiscalmente significativa viene tassata, mentre quella legata al sostegno volontario e alla mutualità resta esclusa dalla base imponibile.
Inoltre sempre per gli enti non commerciali, il codice del terzo settore che afferma per loro la possibilità di svolgere attività commerciale ma in modo secondario, ha introdotto una serie di regimi forfettari opzionali che possono adottare per determinare in modo forfettario quella ricchezza che mi costituisce reddito imponile proveniente dalle attività commerciali:
- L’art. 80 CTS introduce un regime forfettario per ETS non commerciali, applicando coefficienti di redditività prestabiliti ai ricavi di natura commerciali;
- L’art. 86 CTS, invece, disciplina un regime maggiormente agevolato per Organizzazioni di Volontariato e Associazioni di Promozione Sociale con ricavi commerciali inferiori a 85.000 euro, si possono applicare coefficienti ancor più ridotti (1% per le ODV e 3% per le APS) e semplificazioni in materia di IVA, inclusa l’esenzione dal versamento dell’imposta.
Accanto a questi strumenti, il sistema tributario riconosce regimi fiscali specifici per alcune categorie di enti, in considerazione delle finalità solidaristiche che perseguono. Tra i più rilevanti si segnalano:
- Le ODV e gli Enti Filantropici (art. 84 CTS)
- Le APS e le Società di Mutuo Soccorso (art. 85 CTS)
- Le Imprese Sociali e le cooperative sociali (art.18 decreto 112)
In definitiva, il regime fiscale applicabile agli enti del Terzo Settore è il risultato di una stratificazione normativa che tiene conto della natura dell’ente, della tipologia di attività svolte e della funzione sociale perseguita. La dicotomia tra enti commerciali e non commerciali costituisce solo il primo livello di lettura: a questa si affiancano regimi opzionali, agevolazioni mirate e discipline speciali che costruiscono un sistema dinamico e flessibile.